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Piante officinali
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Rubus fruticosus L.

rubus .rovo

Rubus fruticosus L.

Famiglia: Rosaceae
Sinonimi: Rubus trivialis Andr. Mich
Nomi volgari: rovo comune, spino della Madonna, more di macchia, rovo bluastro, rovo da more, spina malesia, rovo canino.

Etimologia: “Rubus” era la denominazione romana del rovo, “fruticosus”, dal latino, fa riferimento all'aspetto arbustivo.

Morfologia:

arbusto spinoso, cespuglioso, dai fusti inarcati nella parte superiore, lunghi sino a toccare terra, dove le estremità sono spesso radicanti, ha dimensioni variabili, in genere 2-3 m.
I ramoscelli sono cilindrici alla base, angolosi alla cima, verdi o bruno- rossastri, coperti di aculei, i rami vecchi sono marroni.
Le foglie sono picciolate, palmate sui ramoscelli sterili, le apicali con pezioli spinosi, hanno la lamina divisa in 3 segmenti ovali, dentati al margine, le nervature centrali portano piccole spine, la pagina superiore glabra, quella inferiore biancastra.
All’ascella dei rami di 2 anni, si sviluppano pannocchie di fiori ermafroditi, hanno calice peloso e corolla formata da 5 petali, bianca oppure rosa, molti stami e pistilli.
Gli ovari numerosi, originano frutti complessi, formati da piccole drupe globose, molto succose, nere o bluastre e pruinose con un piccolo nocciolo di consistenza pietrosa, monospermo: le more.

Distribuzione – habitat – fioritura:

specie presente in tutta Europa, in Italia è pianta comune nei boschi umidi, al margine delle foreste, nelle radure e nelle siepi, predilige suoli ricchi di nutrienti, moderatamente acidi, limosi e detritici.
Fiorisce da maggio ad agosto , fruttifica da agosto a settembre, sino a 1700 m.

Proprietà ed usi:
il rovo, che tutti conoscono per la bontà dei frutti, si fa apprezzare anche per le proprietà astringenti, diuretiche, antinfiammatorie, emostatiche, coloranti e aromatizzanti.
I frutti e i loro preparati, hanno per via interna, una blanda azione lassativa (consigliata anche in pediatria).
Il decotto di foglie, che sono particolarmente ricche di tannini, rallenta le mestruazioni abbondanti e la diarrea, combatte le emorroidi e le stomatiti, per uso esterno sono impiegate, in sciacqui e gargarismi, per le gengive sanguinanti (i romani ne masticavano le foglie contro le emorragie gengivali), per le irritazioni e il mal di gola, sono utili in lavande vaginali in caso di perdite bianche, come detergente intimo e delle zone intorno agli occhi in caso di prurito e arrossamento.
Plinio considerava le more un potente antidoto contro il morso dei serpenti e degli scorpioni, più correttamente ne consigliava l’uso per curare piaghe, ferite e per stimolare la diuresi.
I frutti che sono ricchi di zuccheri e vitamine, sono un ottimo alimento dietetico e vengono inoltre utilizzati come correttivi del sapore nell’ industria dei farmaci, per la preparazione di sciroppi, liquori, marmellate, gelatine, torte, gelati, sorbetti, per aromatizzare l’aceto e come coloranti per alimenti.
L’essenza dei frutti si aggiunge a shampoo e preparati per bagno.
I giovani germogli lessati, sono un’insolita, ma ottima insalata.
In Germania e in Inghilterra le foglie vengono usate in infuso per la preparazione del tè

Note:
Il genere Rubus, appare uno dei più ricchi e complicati tra le angiosperme. Nel solo gruppo di Rubus fruticosus (nome collettivo nel quale si includono numerose piccole specie, che differiscono per piccoli caratteri, ma che possono risultare molto eterogenee per quanto riguarda la loro ecologia ), sono descritte più di 400 specie, molto difficile distinguerle una dall’altra per il botanico dilettante.
Fra i caratteri di maggiore rilevanza ai fini tassonomici si annoverano la pelosità, la presenza di ghiandole, la forma del calice e l'ambiente di vita. La specie collettiva comprende circa 100 piccole specie.
Sembra che tanta diversità, abbia avuto origine in epoca post-glaciale, quando hanno avuto modo di formarsi moltissime combinazioni ibride.
Molto simile al Rubus fruticosus, ma più gracile, con fusti bassi, foglie verdi su entrambe le pagine e frutti pruinosi è il Rubus caesius o rovo taragno.

Curiosità:

Testimonianze fossili dimostrano che le more, fanno parte dell’alimentazione umana fin dai tempi più remoti. Eschilo (525-456 a.C.), celebre autore tragico, e Ippocrate (460-375 a.C.), famoso medico, entrambi greci, nelle loro opere, fanno riferimento alla mora.
La Finlandia ha coniato monete da 2 euro con la raffigurazione del Rubus.

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Rubus ulmifolius

Nome comune : Rovo

Descrizione: Arbusto con grossa radice e fusti dapprima eretti, poi arcuati e ricadenti con sezione grossomodo pentagonale, dotati di grosse spine ricurve. Le foglie sono alterne, palmate, composte, imparipennate con 5-7 foglioline ovali dentate dotate di picciolo aculeato. I fiori, di colore bianco rosato, sono raccolti in grappoli terminali, compaiono nella tarda primavera. I frutti sono drupeole, ovvero ammassi di piccole drupe di forma globosa, nere a maturità.

La raccolta: Tutti conoscono questa pianta per i suoi frutti, le succose more, oppure perché conservano un doloroso ricordo delle sue spine. Pianta ubiquitaria, infestante, prepotente, spesso vituperata proprio per queste sue caratteristiche; però se è vero che il rovo infesta boschi tagliati, rive dei fiumi, incolti, indicando uno stadio di degrado della vegetazione, è anche vero che spesso annuncia con la sua comparsa la ricostituzione di un bosco laddove era solo prato. In ogni caso l’antica sapienza dell’uomo raccoglitore, ha saputo sfruttare questa ruvida pianta oltre che per i suoi frutti anche per i getti primaverili, le radici, le foglie.

In cucina: Il rovo è utilizzabile in ogni sua parte e se l’utilizzo dei frutti è più o meno noto a tutti, non lo è altrettanto il resto della pianta. Le foglie, raccolte in primavera e seccate all’ombra danno un buon tè, mentre le radici, liberate dalla scorza e lessate a lungo si consumano schiacciate e condite.

Marmellata di more

Ricetta forse fra le più conosciute, pochi però conservano il ricordo dell’uso terapeutico che se ne faceva un tempo.
Mettere in una capace pentola le more con un poco di acqua ed il succo di un limone e cuocere per circa un’ora. Passare al setaccio od al passaverdura per eliminare i fastidiosi piccoli semi, pesare e rimettere sul fuoco aggiungendo lo zucchero nella proporzione di 600 grammi di zucchero per chilo di passato, e cuocere fino a che il composto avrà raggiunto la densità desiderata. Volendo esagerare è possibile ottenere un gusto diverso aggiungendo alla marmellata alcune coccole di ginepro. Imbarattolare la marmellata ancora calda, avendo cura di versare sopra un poco di grappa aromatizzata al ginepro; questo tocco, oltre a conferire un gradevolissimo profumo alla marmellata impedirà la formazione di muffe. In passato si confezionavano dei piccoli lecca lecca usati come dolci per i bambini, utili anche per il mal di gola, seccando dei piccoli rombi di marmellata ottenuta cuocendo i frutti solo con acqua fino a raggiungere una densità ottimale.

Frittata di getti primaverili
Bisogna raccogliere in primavera i grossi polloni emessi da queste piante, liberarli dalla scorza con le foglie e le ancora tenere spine e si scottano velocemente in padella con poco olio. Dopo qualche minuto si aggiunge uovo sbattuto e salato e si cuoce come qualsiasi frittata. I getti si possono anche consumare sul posto; quante volte durante i vagabondaggi nell’Agro questi umili getti mi hanno dissetato con il loro sapore aromatico (a metà fra limone e rosa)!